Gli ultimi quattro titoli in concorso letti e recensiti dalla redazione dell’Accademia.
ALMARINA di Valeria Parrella
(a cura di Silvia Rizzello)
C’è un posto nel Mediterraneo dal quale non ci si può tuffare, ma dove si può solo restare. È Nisida, il carcere minorile dell’omonima isola a metà tra terra e mare nel Golfo di Napoli. In questo luogo, tanto chiuso quanto aperto, prende vita Almarina.
La voce narrante è quella di Elisabetta Maiorano, cinquantenne insegnante di matematica nel penitenziario, da poco rimasta vedova, ma anche sola al mondo visto che non è riuscita ad avere figli. La sua vita è improvvisamente scossa dall’arrivo, nel carcere, di Almarina, una sedicenne rumena dal passato segnato da violenze domestiche. Dopo la morte della madre, Almarina è fuggita con il fratello dalla Romania in cerca di un domani migliore. Arrivata in Italia, però, i due sono stati separati e ogni notizia è andata persa. Lei lo ha cercato, ma ciò che ha trovato sono state solo le sbarre del carcere di Nisida, dov’è finita dopo aver rubato. In cella non ha portato niente con sé, se non i ricordi di quel passato cupo e violento. In carcere, infatti, la vita è ferma, ci si aggrappa solo a quel che è stato, perché quel che sarà non si immagina nemmeno e quel che è si vuole solo dimenticare.
Nisida, però, non è una prigione senza vie d’uscita. Lo sa bene Elisabetta e presto lo capirà anche Almarina. Nell’incontrarsi, infatti, le due hanno trovato la voglia di ricominciare, di partire da quel presente ancora legato al passato, ma pronto ad abbandonarlo per far spazio al futuro. Un romanzo di rinascita e di seconde occasioni per capire che non è mai finita, ma che ogni momento, ogni luogo o ogni persona incontrata possono essere un punto di ripartenza.
VITA, MORTE E MIRACOLI DI BONFIGLIO LIBORIO di Remo Rapino
(a cura di Silvia Muletti)
Fotografia color seppia di una storia personale che è comune a quella di molti, scattata dalla biografia del matto di paese di cui si ha mai letto. Bonfiglio Liborio, prima cognome poi nome, classe 1926 si presenta da solo, con un linguaggio sghembo come la sua andatura, tra espressioni di dialetto abruzzese e frasi sgrammaticate. La vita di Bonfiglio è un monologo che si legge tutto d’un fiato e a cui si guarda come a un mosaico di nomi, volti, avvenimenti che si susseguono senza tregua in un flusso di ricordi scandito dal tempo e dagli eventi. Un elenco in prosa ritmica di memorie che “così tutte mischiate che non le potevi mettere in fila manco per sfizio, manco se ci veniva un geometra bravo, ma che geometra, manco se ci calava la Madonna e San Giuseppe”. E invece Rapino ci riesce benissimo restituendo una fotografia che rappresenta chi è ai margini, chi si barcamena tra privazioni e speranze mancate. Immortala lo sfratto e la muffa sul soffitto, il pane che oggi c’è e domani chissà, il lavoro che fortunato chi ce l’ha anche se porta alla morte. È l’Italia delle campagne prima e delle fabbriche poi, ma anche del vedere il mare per la prima volta, il Padre Nostro, la banda che porta la musica in paese, le bancarelle per le feste di settembre.
Il protagonista decide di scrivere la propria autobiografia alla fine della sua vita e lo fa da “cocciamatte” il matto del paese, sfortunato ma non cattivo, che non toglie niente delle privazioni che ha vissuto, ma nemmeno della lucida naturalezza dei momenti di allegria, svago e stupore.
IL COLIBRÌ di Sandro Veronesi
(a cura di Francesco Scarciolla)
Questa è la vicenda di un quarantenne, l’oculista Marco Carrera, il colibrì, come sua madre lo definiva da bambino per via della corporatura minuta causata da uno squilibrio ormonale. Una storia apparentemente ordinaria fuori, ma straordinaria dall’interno. Così è la vita di Marco, che deve sbattere forte le ali per non cadere, soprattutto per reggere agli urti sconvolgenti della sua esistenza, una vita di perdite e dolori che si susseguono nei lunghi flashback di un impianto narrativo originale. Il romanzo, infatti, si sviluppa su piani temporali diversi e lo fa senza un ordine apparente. Il linguaggio e lo stile sono chiari, capaci di non disperdersi e di costruire un mondo intero con poche frasi.
Marco è un uomo normale e la sua vita è una questione di resilienza, un manifesto alla resistenza: la separazione da una moglie incinta di un altro uomo, il rapporto non facile con il fratello Giacomo, l’amaro suicidio della sorella Irene, la tragica morte per un incidente in montagna della figlia Adele, i continui dissapori tra i genitori borghesi. Malgrado la pesante nostalgia che si trascina negli anni, Marco resiste alla vita, saldo e fermo come il colibrì, che batte freneticamente le ali. E quando si apre uno spiraglio, scrive: “Io ora ho una missione da compiere, che dà senso a tutto quello che ho avuto e non ho avuto, compresa te: allevare l’uomo nuovo, e l’uomo nuovo è la bambina di otto anni che dorme sotto questo tetto”. Si riferisce alla nipote Miraijin. Una sorta di miracolo, un prodigio, una bambina incantevole che “fa sempre la cosa giusta”, che cresce diventando intelligente e impegnata, una sorta di riscatto per la vita sfiancante di Marco, che, nonostante tutto, ha seminato bene.
L’APPRENDISTA di Gian Mario Villalta
(a cura di Marianna Bitonto)
Fredi e Tilio, due uomini sul viale del tramonto, mantengono l’ordine e la pulizia in una chiesa di paese, che conserva gelosamente una celebre opera d’arte di Tiziano. I due anziani portano in scena una variopinta e dettagliata storia. Un lungo resoconto delle loro vite passionali e tumultuose, esistenze ora moderate dai rituali sacri della preparazione liturgica. Tra un funerale e un matrimonio, tra il passaggio di un prete e l’altro, il rapporto tra i due diventa una timida amicizia contornata da una serie infinita di medicine da prendere, chiacchiere da bar dello sport, ricordi e rimpianti. E, attraverso questo rapporto, si aprono riflessioni sul passato e sul peso di quanto è rimasto irrisolto; un presente che non ha risposta, perché il tempo fugge troppo velocemente come sabbia tra le dita. I giorni si accumulano, le stagioni passano, il calendario va cambiato. Oggi ci sono più rotatorie e supermercati che parchi pubblici. I ragazzi non perdono più le loro giornate giocando all’aperto, ma con il cellulare in mano. Le chiese si sono svuotate, perché l’Eterno sembra sempre più distante. Sono semplici considerazioni di un povero vecchio o uno specchio della realtà socio-economico-demografica degli ultimi decenni?
Raccontare il passato mentre il mondo muta inesorabilmente e non si riesce più a tenerne il passo. E allora ci si ferma ad osservarne il cambiamento e ci si calma attraverso la pulizia del proprio ambiente domestico. Non è forse quello che stiamo vivendo un po’ tutti in questa delicata situazione attuale? Uno stop obbligato e improvviso che, forse, ci ha aperto gli occhi verso la bellezza delle piccole cose.
L’apprendista i giorni scanditi dal lento chiaccherare e la passione del dolce vivere, in contrasto con la nostra frenesia offuscata dal dio denaro. Voglio leggere assolutamente questo libro. Complimenti
L’apprendista i giorni scanditi dal lento chiaccherare e la passione del dolce vivere, in contrasto con la nostra frenesia offuscata dal dio denaro. Voglio leggere assolutamente questo libro. Complimenti