La pellicola, diretta come il primo Wall Street da Oliver Stone, è uscita nel 2010 a soli due anni dalla crisi finanziaria che ha colpito gli Stati Uniti per poi propagarsi in tutto il mondo.

La situazione nel 2008

Gli avvenimenti di quel periodo, appena accennati nel film, hanno rischiato di far deflagrare l’intero sistema finanziario mondiale. Il regista ha scelto per la sua opera uno stile non troppo nozionistico: gli è stato sufficiente raccontare le vicende dei protagonisti per dare agli spettatori l’idea della situazione che si stava delineando.

Il bonus milionario che incassa Jacob Moore (Shia Labeouf), broker e fidanzato della figlia di Gekko, fa capire che, nonostante si sentano i primi scricchiolii, anche le aziende in odore di fallimento continuano, fino all’ultimo, ad elargire lauti compensi.

La mamma di Jacob (Susan Sarandon), agente immobiliare, vive sulla propria pelle la crisi del mercato delle abitazioni, innescata dal congelamento delle compravendite, evidenziando uno dei mali all’origine della crisi.

Non importa ciò che è vero, ma ciò che uno crede” Gekko

I dirigenti delle banche di affari, che si aggirano come sciacalli attorno alla preda moribonda in attesa di azzannarla, rendono perfettamente l’idea di un sistema sempre troppo lontano dalla realtà, preoccupato solo di continuare a fare soldi. Colpi bassi e tradimenti sono comportamenti abituali. E tanto meglio se questo può accelerare la fine di un concorrente. I crolli delle borse che si susseguono accentuano la tensione e l’aria di emergenza, creando il panico non solo tra gli operatori del settore, ma anche ai piani alti del governo americano. Tutte tessere di un mosaico che, combinate tra loro, formano un quadro sufficientemente chiaro di quello che sta accadendo.

Si poteva prevedere la crisi?

Nella finzione cinematografica, Gekko la prevede, ma, anche nella realtà, non erano mancati gli elementi per comprendere quello che inevitabilmente sarebbe accaduto.

Il valore delle abitazioni era salito vertiginosamente e le banche, fiutando l’affare, avevano cominciato a concedere mutui anche a famiglie impossibilitate realmente a sostenere la spesa: la garanzia di questi mutui (definiti subprime) era proprio il valore dell’immobile, che continuava a salire.

Si era formato così un circolo vizioso: la domanda di case, stanti i mutui elargiti generosamente, continuava a crescere, facendo lievitare artificialmente il valore degli immobili, che consentiva di accendere ipoteche per importi sempre più consistenti, perché garantite dagli stessi beni patrimoniali. Un sistema perverso che procurava vantaggi a tutti: alle banche, alle agenzie immobiliari, ai mediatori creditizi, alla lobby del mattone e ai clienti stessi che, per pagarsi beni voluttuari, si indebitavano ulteriormente con la garanzia dello stesso immobile.

Un sistema che scricchiola

Nel 2006 sono cominciati i primi problemi dovuti all’insorgere delle insolvenze tra le famiglie indebitate. Le rate dei mutui che, per la struttura dei contratti stipulati, crescevano col passare del tempo, sono diventate insostenibili per molte persone: non potendo onorare gli impegni presi, il passo successivo era il pignoramento della propria abitazione. Questo ha provocato un crollo del valore delle case e degli strumenti finanziari collegati che, nel frattempo, le banche avevano confezionato per aumentare i propri guadagni.

La società presso la quale lavora Jacob, proprio a causa dell’enorme esposizione su queste tipologie di titoli e di alcune voci fatte circolare ad arte, viene salvata dagli stessi concorrenti per evitare che il suo fallimento possa trascinare nel panico l’intero sistema finanziario.

Moral hazard

L’avidità si è evoluta rispetto agli anni Ottanta di Gekko. È diventata ancora più sfacciata fino a trasformarsi in “moral hazard”, perché porta ad assumere comportamenti estremamente rischiosi per realizzare enormi profitti, confidando, in caso contrario, sulla possibilità di scaricare i costi sulla collettività. Ed è proprio questo che avviene, quando, il governo americano prima e quelli degli altri Paesi poi, per evitare un tracollo generalizzato, intervengono in prima persona al fine di mettere in sicurezza il sistema finanziario mondiale.

I “due” Wall Street

Intercorrono poco più di vent’anni tra le due pellicole, troppi, forse, se l’intenzione era quella di fare un sequel. E, in effetti, a parte il medesimo regista e il personaggio di Gordon Gekko, i due film sono profondamente diversi.

Nel primo, il tema finanziario è l’assoluto protagonista. Tutto ruota attorno ad esso ed è determinato dal suo evolversi.

Nel secondo, invece, la trama è incentrata sui tentativi di Gekko di riallacciare il rapporto con la figlia, perso durante la sua detenzione: l’ambito economico diventa un pretesto, il tramite per raccontare una storia che avrebbe potuto svolgersi anche in un altro contesto. Il risultato è un film commerciale, realizzato sicuramente con mestiere, che, però, non trasmette le stesse emozioni e il pathos del precedente.

 

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *