Daniela Carucci è una scrittrice “sopra le righe”. Attrice e drammaturga, si appassiona al teatro per l’infanzia, tanto da creare dei laboratori nelle scuole che consentano a bambini e adolescenti di avvicinarsi a questo mondo e alla letteratura che vi ruota intorno.
Oggi, oltre ai laboratori e ai corsi di formazione per insegnanti e educatori, si dedica alla narrazione, spaziando da quella teatrale a quella giornalistica, per finire con quella narrativa che l’ha voluta tra i protagonisti del Premio Strega Ragazzi e Ragazze con la sua prima opera Ruggiti (ed. Sinnos 2019).
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Una laurea in storia del teatro quindi un lavoro come attrice e drammaturga nell’ambito del teatro per l’infanzia e l’adolescenza. Cosa l’ha spinta ad avvicinarsi ai più piccoli, a cimentarsi con il loro mondo e il loro immaginario?
Frequentando il teatro ho iniziato a scoprire come quello per ragazzi, quello più autentico e innovativo, fosse un teatro che si rivolgeva a un pubblico misto di grandi e piccoli. Si trattava di un teatro popolare, per tutti, e questo mi ha attratta enormemente. Inoltre, con il teatro per ragazzi, mi avvicinavo al principio di ogni esistenza, al punto di partenza o alla radice se si preferisce, che rimane dentro di noi. Mi interessa indagare quell’inizio e moltiplicarlo.
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Da attrice e drammaturga a scrittrice: cosa si prova dando agli altri qualcosa di sé sia attraverso la recitazione che, a maggior ragione, attraverso la scrittura?
Dare di me è vitale. Sono qui al mondo per vivere, attraversare, creare e condividere con gli altri ciò che mi accade, dentro e intorno, per cercare possibilità per stare al mondo insieme. Sia con il teatro che con la scrittura, poi, ho la facoltà di entrare nella vita di altri e questa è un’enorme possibilità che voglio continuare a darmi e a dare.
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Su un palco si finge (o ci si immedesima) in altri personaggi. Ma nella sua opera Ruggiti lei parla di un’avventura realmente accadutale. Cosa c’è di lei nel teatro e cosa l’ha avvicinata alla scrittura?
Ruggiti non è propriamente realmente accaduta, ho iniziato a scrivere questa storia partendo da un ricordo: si diceva che vicino alla mia scuola ci fosse un meccanico che aveva accolto in officina un vecchio leone. Io, quel leone, non l’ho mai visto, ma ho sempre sognato di incontrarlo e di diventarne amica. Poi, poco dopo la pubblicazione del libro mi ha contattata il figlio del meccanico dicendomi che suo papà il leone ce l’aveva veramente e stava proprio lì, sotto la mia scuola: “Non lo sentivi ruggire ogni tanto?”, mi ha chiesto e, quando mi ha detto così, ho risentito quella voce che non sapevo di ricordare così bene. La scrittura è sempre stata con me, stare sul palco è stato uno scrivere con tutto il corpo, un diventare io stessa scrittura.
- Ci parli della sua esperienza al Premio Strega Ragazzi e Ragazze, tra impressioni, aspettative e speranze.
Quando ho visto Ruggiti candidato Premio Strega, un anno fa, non ci potevo credere. È il mio primo libro per ragazzi, anche se ho scritto per il teatro, ma un romanzo è decisamente un’altra faccenda. Quindi ero e sono molto felice. So che è banale dirlo, ma è stato un sogno che si è realizzato. E ogni tanto fa molto bene che i sogni diventino realtà.
- Cosa ha rappresentato per lei questa candidatura e cosa è cambiato (se ci sono stati dei cambiamenti!)?
È per me una conferma importante, un punto di partenza e poi, ora ho un editore di riferimento e qualcun altro mi ha cercata… Insomma, sono un’autrice e per la prima volta nella mia vita sono a mio agio in un ruolo.
- Il Premio Strega Ragazzi e Ragazze nasce nel 2016. Cosa pensa possa apportare un riconoscimento di questo tipo alla narrativa per i più giovani? Ritiene sia un modo per pubblicizzare meglio le nuove opere e, quindi, incentivare i più piccoli a conoscerle e leggerle?
Penso sia fondamentale che le opere di letteratura per ragazzi in tutte le loro forme (narrativa, albi illustrati, silent book, fumetti, graphic novel…) abbiano dei premi dedicati che li facciano stare sotto i riflettori, si mettono così in evidenza opere meravigliose che rischiano di essere ignorate dai più. Da qualche anno collaboro con la Rivista Andersen che è anche un Premio tra i più importanti in Italia. Il lavoro di selezione e riflessione che sta dietro a un premio è enorme e dà dignità, forza e riconoscimento a una letteratura che a livello internazionale è ricca, variegata e direi, spesso, stupefacente. Una letteratura che sa mischiare le arti e i linguaggi e che è letteratura e basta, per tutti. Aggiunge alla nostra vita profondità di visione, bellezza, poesia, gioco, pensiero, come tutte le letterature possibili, dando voce a una parte del mondo che di voce non ne ha molta, e a una parte di ognuno di noi a cui si tende a togliere la parola e l’autorevolezza.
- Conduce anche laboratori per adulti e bambini. Come sono i bambini di oggi e gli adulti?
I bambini che ho incontrato in questi ultimi anni hanno bisogno di creare il mondo che hanno intorno, di essere ascoltati e rispettati, non in quanto adulti in miniatura ma come bambine e bambini, ragazze e ragazzi che sanno vedere la vita intorno in modo speciale, ne sanno scoprire lati inaspettati o dimenticati. Sono bambini anche consapevoli e resilienti. Gli adulti che faccio giocare con le storie spesso mi commuovono perché in loro emerge un bisogno di “essere” e basta, al di là di ruoli, esperienze, stati, responsabilità… Si tratta di un bisogno sottile che li rende belli e ne mostra una vitale fragilità che spesso si tende a nascondere come fosse qualcosa di cui vergognarsi e che per me è, invece, un punto di rottura dell’equilibrio da cui tutto può rinascere.