E anche oggi devo dire grazie alle mie grandi passioni: la lettura e il calcio. Ho avuto l’ennesima dimostrazione che tutti quelli che mi dicono che perdo tempo a vedere delle persone correre dietro a un pallone (sottolineando anche la questione legata al mio sesso di appartenenza, ma questa è un’altra storia) hanno torto.

Il calcio è tanto e molto di più. E oggi ringrazio perché, leggendo un libro in cui si parla (anche) di questo sport, mi sono emozionata. Soprattutto attraverso le ultime righe scritte dall’autore, che mi hanno completamente colpita e affondata. In un pomeriggio che stava volgendo al termine io ero lì, con gli occhi lucidi, ad annotare e vivere un’altra bellissima esperienza che la mia passione calcistica è stata capace di darmi.

Per questa mia Sport Biography che inaugura il 2021 sono ripartita dallo sport che più mi entusiasma, di cui conosco certo molti volti e aneddoti, oltre che risultati di partite e memorabili rivalità, ma di cui c’è sempre anche qualcosa di nuovo da scoprire. Le storie delle persone sono lì, pronte per essere raccontate a chi è pronto ad ascoltarle.

Il primo impatto

Il libro mi aspettava da giorni appoggiato sulla mia scrivania bianca, in netto contrasto con la copertina effetto vintage su cui spiccava la parola Auschwitz. Ognuno di noi conosce quel termine, diventato ormai simbolo di orrore, disperazione e soprattutto morte. Avevo scelto proprio quel titolo in particolare vista la pubblicazione del mio articolo in prossimità del “Giorno della memoria”. Non sapevo bene cosa aspettarmi da quelle pagine, anche se però di una cosa ero certa: il protagonista, purtroppo, aveva concluso la sua vita proprio lì, in quel luogo che ha fatto la storia. Una storia che forse qualcuno vorrebbe cancellare, perché fa troppo male, e che altri invece vogliono continuare a ricordare, perché tutto ciò che è successo non si ripeta.

“Mi sembra si chiamasse Weisz, era molto bravo ma anche ebreo e chi sa come è finito”. Enzo Biagi

Ma chi è Arpad Weisz?

Potrei iniziare col dire che è stato un allenatore di calcio che ha vinto sia con l’Ambrosiana (l’attuale Inter) sia con il Bologna, che ha scoperto il calciatore Meazza, che sua moglie si chiamava Elena e i loro figli erano i piccoli Roberto e Clara. E poi dovrei aggiungere che era un ebreo che viveva in Italia alla fine degli anni ‘30. E concluderei affermando che un ruolo da centravanti nella sua esistenza lo hanno avuto la guerra e le leggi razziali. Weisz aveva la tattica nel sangue eppure i suoi avversari hanno saputo sorprenderlo e fargli perdere la partita più importante. In questa storia il calcio si mescola con la quotidianità della vita privata, in una fusione nel corpo e nell’anima del timido e distinto ungherese Arpad Weisz.

“Visto da lontano, Arpad Weisz non è alto e non è basso. Non è bello e non è brutto. È. È un uomo normale, nelle forme fisiche quanto nel volto. Eppure basta osservarlo qualche istante per non staccargli lo sguardo di dosso. Ha qualcosa di misterioso e insieme di magnetico, una faccia simpatica e intelligente, che si scopre lentamente. Il sorriso è vago e indefinito, ma possiede anch’esso una strana magia. La stempiatura, benché evidente, non lo rende più vecchio dei suoi quarantadue anni.”

Oltre la ragione e la speranza

Il libro scorre facilmente, non solo grazie al pratico formato, ma anche e soprattutto per i contenuti. I dati calcistici si mescolano con quelli famigliari e con quelli legati a un periodo storico fatto di divieti, violenze, denunce e stelle gialle cucite sui cappotti.

La storia narra di un uomo che a un certo punto ha dovuto lasciare l’Italia e, dopo una veloce tappa a Parigi, è approdato nei Paesi Bassi dove è diventato l’allenatore del Drobecht. L’Olanda, purtroppo, si è rivelata essere il cambio sbagliato, quello che lo ha portato a una sconfitta tremenda. Avrebbe dovuto e potuto scegliere un’altra meta, ma è facile parlare oggi alla luce della conoscenza dei fatti accaduti.

Quello che è certo è che lui ha seguito il suo cuore e la sua passione per il terreno di gioco, fino a quando la furia nazista l’ha scovato, colpendolo e mandandolo incontro al suo triste destino.

“Weisz ha deciso di restare, cercando una mediazione, una progressiva accettazione delle novità che porterà in breve a uno scivolamento verso il baratro. La ragione ha infatti perduto la sfida con la follia.”

Una postfazione rivelatrice

In queste ultime quindici pagine è raccolto tutto: il perché, il come, il chi e il quando. Matteo Marani, l’autore, spiega nel dettaglio il percorso che lo ha portato a redigere questo libro. Quelle parole uniscono tutto ciò che è stato letto nei precedenti capitoli, contestualizzando il racconto a cui danno un valore aggiunto.

Nella narrazione c’è dietro la storia di un uomo, giornalista sportivo e conoscitore calcistico, che vuole scrivere la storia di un altro uomo, caduto nell’oblio, vittima di un destino orribile. La volontà dell’uno si mescola con la volontà dell’altro, così come la caparbietà e la voglia di non arrendersi.

“C’è un’unica cosa che ha permesso ad Arpad Weisz di arrivare sin qua. È stato l’amore sconfinato per il calcio, quel gioco inventato mezzo secolo prima dagli inglesi che all’ungherese ha dato moltissimo e che lui ha contribuito, in modo consistente, a migliorare. Ogni volta che la vita gli si è messa di traverso, ed è capitato sovente negli ultimi anni, lui è andato al campo, sul campo a lavorare, per distrarsi.”

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