Avete dunque un personaggio principale, verso il quale provate empatia, poi gli accade qualcosa, e quel qualcosa è la genesi della storia. […] Il “qualcosa” è quasi sempre un problema, talvolta un problema mascherato da opportunità. […] La storia è il viaggio che ogni personaggio deve intraprendere per ovviare al problema insorto.
Jhon Yorke
Produttore televisivo britannico, Jhon Yorke riassume così, in poche parole, l’essenza di una storia. E mette subito in chiaro che essa non può esistere senza un conflitto.
Immagina di entrare in un bar dove gli amici ti stanno aspettando: che cosa ti farebbe fremere dalla voglia di raccontare? La tua giornata lavorativa dove tutto è filato liscio, o il gigantesco intoppo in cui sei incappato proprio a metà mattinata, e che hai impiegato ore e ore a risolvere?
Perché l’umanità ha da sempre il bisogno di raccontare, in un modo o nell’altro, ogni esperienza caratterizzata dalla presenza di un conflitto?
Mille vite
Si può attribuire questa necessità al bisogno di arricchire il bagaglio di esperienze comuni, per tramandare alla specie (o, più nell’immediato, a chi ci sta intorno) una serie di nozioni che possono essere utili alla sopravvivenza. Sopravvivenza non solo da rischi esterni e tangibili, ma anche alle relazioni interpersonali: essendo animali sociali, noi viviamo (e sopravviviamo) grazie a queste relazioni, e imparare gli uni dalle esperienze degli altri ci permette di raddoppiare, triplicare, quadruplicare il numero di informazioni necessarie a navigare i rapporti con altri esseri umani.
Umberto Eco disse, parafrasando, “Chi legge vive migliaia di vite, chi non legge solo una: la propria.”
I conflitti vissuti (e, si spera, risolti) sia da noi che da altri possono essere d’insegnamento come nessun’altra esperienza, e garantiscono una gratificazione immediata: da qui la voglia insaziabile di conoscerne sempre di più.
Tipologie di conflitto
Una storia, quindi, ha inizio quando insorge un problema, ma non uno qualsiasi: deve trattarsi di qualcosa che sconvolge l’esistenza del protagonista, e che ne ribalta completamente il mondo.
In narrativa, il conflitto si distingue innanzitutto in due macro categorie: interno ed esterno.
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Conflitto interno
Il problema è una battaglia interiore, una lotta del protagonista contro se stesso: può trattarsi di una decisione difficile, o di superare le proprie paure, o ancora di dare prova di resilienza.
Una fonte di questo conflitto è la contrapposizione del want e del need: il primo è ciò che un personaggio vuole, ciò che desidera più di ogni altra cosa; il secondo è ciò di cui ha davvero bisogno.
Quando want e need corrispondono, parliamo di un personaggio bidimensionale: si pone un obbiettivo (sposare la principessa, recuperare la bacchetta magica, sconfiggere l’antagonista) e lo raggiunge.
Quando non corrispondono, invece, abbiamo un personaggio tridimensionale: si pone un obbiettivo, e fa di tutto per raggiungerlo, ma dalla storia emerge che è altro, in realtà, ciò di cui ha bisogno, e si arriva alla risoluzione del conflitto quando anche il protagonista ne diventa consapevole.
Attenzione! Un personaggio bidimensionale non è intrinsecamente sbagliato: molti gialli avvincenti, thriller e spy stories si basano su questo tipo di protagonista. Che sia il “ladro” o il “poliziotto”, lo seguiamo durante lo svolgimento della trama e teniamo il fiato sospeso durante la ricerca del suo oggetto del desiderio.
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Conflitto esterno
Il problema proviene dall’esterno. In questa seconda tipologia troviamo almeno due forze contrapposte, delle quali una è il protagonista.
Questa seconda categoria può essere a sua volta suddivisa in base al tipo di forza che egli si troverà ad affrontare:
- La natura – rappresentata ad esempio da animali feroci, eventi catastrofici o ambienti impervi;
- La tecnologia – come robot che si ribellano ai padroni, un’intelligenza artificiale che batte la mente umana, l’automazione;
- La società – mostrata attraverso dittature, oligarchie, distopie, e così via;
- Un altro personaggio – quando il protagonista affronta un antagonista con un obbiettivo diverso e contrapposto al suo.
È possibile trovare più tipologie di conflitto combinate all’interno della stessa storia: il protagonista può essere dilaniato da un dubbio esistenziale (conflitto interno) e, allo stesso tempo, cercare di sconfiggere una malvagia organizzazione criminale (conflitto esterno). Anzi, questa è la strada consigliata da percorrere se si vuole ottenere una storia ancora più avvincente.
Ostacoli, incidenti e crisi
Se alla base di una storia deve trovarsi un conflitto principale (e anche più di uno), lungo il percorso verso la sua risoluzione il protagonista incappa solitamente in conflitti minori, o secondari, espedienti strutturali che guidano i personaggi (e il lettore) verso una comprensione più profonda di sé (cioè verso la realizzazione del need) e verso l’oggetto del desiderio (il want).
Sono avvenimenti che oppongono, in qualche modo, resistenza, e rallentano il protagonista nella sua ricerca.
Possono rivelarsi anche dei “punti di non ritorno”, situazioni, cioè, che comportano un cambiamento così radicale che i personaggi sono costretti ad avanzare nella storia senza potersi voltare indietro.
Risoluzione
Infine, quando il conflitto è superato, si ha la sua risoluzione.
In questa fase, tutte le linee narrative che hanno aperto dei conflitti, anche minori, durante la storia, vengono chiuse, dando al lettore un senso di appagamento.
Anche nel caso di un finale aperto, dove la risoluzione del conflitto principale non viene chiusa del tutto, è indispensabile che lo sia almeno in parte: in caso contrario, si tradirebbe il patto narrativo stabilito tra l’autore e il lettore. L’autore, infatti, stabilisce degli obbiettivi, lasciando sottintendere che questi verranno raggiunti: la sua bravura sta nel fare evolvere questi obbiettivi durante la storia o nel raggiungerli in modi inaspettati.
Per conoscere e approfondire le regole, potrebbe essere utile frequentare un corso di scrittura.
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