Un dialogo deve essere verosimile ma, come abbiamo visto nell’articolo precedente [link a Il dialogo – parte 1], non vero. Quindi come si può simulare una conversazione e scrivere un dialogo efficace?
In primo luogo bisogna saper ascoltare. Per allenarsi, basta prestare attenzione a come parla la gente: in giro, sui mezzi, in aula, sul lavoro… notare ciò che caratterizza la parlata di ciascuno è fondamentale per caratterizzare la voce dei propri personaggi.
Inserisci il dialogo in un contesto ambientale, in un determinato luogo, in determinate circostanze, e fai parlare i personaggi di conseguenza. Usa gesti e azioni per delineare la personalità o lo stato d’animo di un personaggio, che in questo modo non deve essere descritto ma emerge da solo. Pensa, ad esempio, a una persona che mentre parla evita di incrociare lo sguardo dell’interlocutore, o a un’altra che riordina freneticamente la stanza mentre il partner le racconta la sua giornata.
Le scene importanti, quelle rivelatrici, cariche di tensione, sono ideali da mostrare al lettore attraverso il dialogo, perché si sentirà partecipe all’evolvere della situazione in tempo reale. Viceversa, puoi utilizzare il dialogo indiretto per riassumere avvenimenti meno importanti, come le istruzioni ricevute prima di una verifica.
Non devi avere paura dei verbi di attribuzione (o dialogue tag, che approfondiremo tra poco). Disse, rispose, ribattè, possono sembrare banali e strausati, ma proprio per questo sono quasi invisibili. Al contrario, un verbo particolare come decretò, proferì, enunciò, potrebbe emergere con prepotenza dal testo rischiando di estraniare il lettore.
Ricordati che la Voce dei personaggi emerge proprio dai dialoghi, e quindi dalle parole che essi scelgono di utilizzare. Contrazioni, intercalari, termini colloquiali, sono essenziali per caratterizzare la parlata dei personaggi, ma vanno dosati nel modo giusto. Lo stesso si può dire di tutte quelle peculiarità del linguaggio utili a distinguere una persona dall’altra, come problemi di dizione, la balbuzie, i tic, e così via.
Dialogue tag
Per definizione, un dialogo avviene per forza coinvolgendo almeno due persone. Il problema è: come far capire al lettore quale sia il personaggio che sta parlando? La soluzione più semplice che, sebbene non vada abusata, rimane la più valida, è quella di aggiungere un dialogue tag, letteralmente ”etichetta di dialogo”, la cui funzione è proprio quella di indicare chi stia aprendo bocca.
In un dialogo tra due persone lo scambio non può che occorrere tra di esse, per cui non ci sarà bisogno di identificarle a ogni battuta. Tuttavia, anche in un dialogo a due può capitare di perdere il filo. Potremmo distrarci un attimo, o confonderci per una frase più lunga del normale. Per tale motivo conviene ricordare, di tanto in tanto, l’ordine delle battute.
Un espediente per non suonare ripetitivi è quello di spezzare una frase lunga collocando l’attribuzione al centro.
«Hai visto che tempo, oggi?» chiese Giulia.
«Da cani! E ho anche dimenticato l’ombrello!» rispose Sara.
«Non ti preoccupare, possiamo usare il mio».
«Grazie» disse Sara. «Se è così che stanno le cose, dovrò dimenticarlo più spesso».
Action Beat
I dialogue tag si trovano un po’ ovunque, dai romanzi recenti a quelli classici. La tecnica, però, più efficiente è quella che definisce gli interlocutori e, allo stesso tempo, assolve delle funzioni nella storia, cioè l’uso degli action tag (o beat), ovvero azioni svolte dai personaggi durante i dialoghi.
I pregi, rispetto ai dialogue tag, sono molteplici. Con gli action beat possiamo inserire delle brevi descrizioni tra i dialoghi per renderli più dinamici e per integrarli meglio nella narrazione, tra le altre cose. Un dialogo che si protrae oltre una manciata di battute, infatti, rischia di diventare statico e di far dimenticare al lettore il contesto narrativo in cui si trovano i personaggi.
Grazie ai beat, piazzati sapientemente tra una battuta e l’altra, il lettore viene costantemente rimandato alla scena, che non rischia di rallentare o fermarsi. Il lettore, in altre parole, non solo continua a immaginare la scena in svolgimento, ma anche i personaggi che vi dialogano. L’importante è ricordarsi di essere chiari e puliti, ovvero di impiegare beat visuali, di immediata comprensione, utili alla scena e con una funzione addizionale.
Non abusate di beat banali o inutili; cercate di usarli per ottenere qualcosa, che sia per caratterizzare un personaggio, per dare atmosfera o altro. E siate realistici: se il beat in questione è lungo e non potrebbe accadere tra una battuta e l’altra, andate a capo e relegatelo al capoverso successivo.
«Hai visto che tempo, oggi?». Giulia guardò preoccupata fuori dalla finestra.
«Da cani! E ho anche dimenticato l’ombrello!». Sara osservò il volto dell’amica riflesso nel vetro.
Giulia si girò all’improvviso, sorridendo. «Non ti preoccupare, possiamo usare il mio».
L’altra arrossì visibilmente. «Grazie» disse. «Se è così che stanno le cose, dovrò dimenticarlo più spesso».
La punteggiatura nel dialogo diretto
Vale la pena di ricordare che quando un personaggio apre bocca, dobbiamo segnalarlo al lettore. Il dialogo diretto può essere espresso tramite diversi segni tipografici quali virgolette, apici, virgolette caporali, o linee. Ogni casa editrice adotta le sue convenzioni, l’importante è usarli con coerenza e non cambiare mai metodo all’interno del testo.
Possono essere utilizzate:
- virgolette alte semplici o apici (‘esempio’)
- virgolette alte doppie dette anche o italiane o doppi apici (“esempio”)
- virgolette basse dette anche francesi o caporali («esempio»)
- linee ( ̶ esempio –)
Qui all’Accademia della scrittura, come norma editoriale, utilizziamo le virgolette caporali.
Il contenuto all’interno delle virgolette necessita della punteggiatura corretta. Le norme redazionali delle case editrici, però, su questo punto differiscono tra loro, e non c’è una maniera corretta di gestire la punteggiatura nei dialoghi. Generalmente, ad esempio, il punto al termine di una frase va posizionato fuori dalle virgolette, ma non se è esclamativo o interrogativo. E, a volte, non va proprio messo, se il dialogo consiste in un botta e risposta. L’iportante, di nuovo, è essere coerenti per tutta la durata del testo. Nel caso dell’invio di un manoscritto a una specifica casa editrice, sarà poi compito dell’editor o del correttore di bozze verificare che le norme utilizzare siano in linea con quelle dell’editore, o eventualmente correggere il testo di conseguenza.
Errori nei dialoghi
In un romanzo l’interazione tra i personaggi è una componente fondamentale per catturare l’attenzione. Il dialogo, se ben fatto, è quello che più coinvolge e affascina il lettore in quanto gli fa dimenticare che la storia è frutto della fantasia dell’autore. Avrai realizzato, a questo punto, che scrivere un dialogo è alquanto complesso.
Uno degli errori più comuni che si possa commettere è quello di usare il dialogo per spiegare un retroscena, un’informazione sulla trama, una parte della storia ovvia per i personaggi. Evitate un dialogo didascalico per spiegare la trama: non veicolate le vostre idee o opinioni attraverso i personaggi. Quando parlano devono parlare di loro.
Non bisognerebbe mai esagerare con gli avverbi per descrivere il tono di una frase: la frase stessa dovrebbe dirci in che modo è stata espressa.
Altro errore molto comune è quello dell’infodump, che nel dialogo è definito forced exposition, “esposizione forzata”. Questo fenomeno ha preso il nomignolo di “As you know, Bob…“, che significa letteralmente “Come sai, Bob…“. È una formula infallibile per individuare un’esposizione inutile: se Bob è già a conoscenza di ciò che sto per dire, perché dirglielo se non per informare il lettore? Attenzione: l’infodump rimane tale anche nei monologhi interiori!
Abbiamo chiarito quali sonno le funzioni dei dialoghi e la loro fisionomia, e ora sta a te mettere in atto ciò che hai imparato. Queste indicazioni ti sono state utili? Lascia un commento!