La spina dorsale di una storia è la sua struttura, ovvero l’insieme delle parti da cui è composta. Una delle strutture tradizionali su cui costruire una trama vincente (e, forse, la più classica) è quella suddivisibile in tre atti, cioè in tre parti principali all’interno delle quali si svolgono gli eventi. È una linea guida all’organizzazione dei passaggi drammaturgici, con lo scopo di narrare la storia in modo efficace.

La struttura in tre atti è una tecnica narrativa nata con Aristotele che, nella Poetica, scompone un’opera drammaturgica in:

  • Inizio
  • Svolgimento
  • Fine

Aristotele definisce le tre parti, sul principio della Dialettica, come Tesi, Antitesi e Sintesi. Fondamentale è la proporzione tra gli atti: idealmente, il primo occupa il 25% del testo, il secondo il 50% e il terzo il restante 25%.

Naturalmente, la suddivisione in tre atti si basa sulla premessa che la storia sia espressa tramite il conflitto, cioè che progredisca sviluppando un conflitto centrale, innescato dall’evento scatenante, fino alla sua risoluzione.

Questo sistema, all’apparenza molto semplice, offre una base solida per sviluppare la concatenazione degli eventi che, partendo da un inizio, attraverso uno svolgimento e arrivando alla fine, crea il romanzo. È un metodo utilizzabile in ogni ambito dello storytelling (dal libro alla sceneggiatura, dal tema di scuola al racconto) perché riflette il sistema inconscio, individuale e collettivo, in cui suddividiamo le esperienze che viviamo per catalogarle in modo efficiente nella nostra mente.

Primo atto: la tesi

È la parte in cui viene fornito il contesto, lo status quo, e il suo apice è raggiunto dall’evento scatenante, ovvero ciò che mette in moto la concatenazione di eventi che crea la trama – ciò che segna il passaggio dall’ordinario allo straordinario.

Vengono introdotti il protagonista e alcuni personaggi secondari, che vivono la loro realtà di sempre. Più in alcuni generi che in altri (nella letteratura fantasy o rosa, ad esempio), in principio regna la tranquillità, vissuta però come monotonia dal protagonista. Su questo sfondo iniziano a emergere le prime difficoltà, rompendo la routine e sconvolgendo gli schemi.

Viene introdotto l’antagonista e, di riflesso, una possibile risoluzione del conflitto – ovvero la sconfitta del nemico. Il lettore inizia a conoscere il protagonista e il suo fatal flaw, “difetto fatale”, ovvero l’elemento interno di resistenza al cambiamento che renderà ancora più difficle la risoluzione del conflitto.

Gli obiettivi di tutti i personaggi viaggiano in modo parallelo: il protagonista inizia ad affrontare il conflitto, e i personaggi secondari si schierano su uno dei fronti. Lo scopo dell’introduzione è fornire le informazioni essenziali all’avviamento della storia, compresi stile, genere e ambientazione. L’incidente scatenante porta a cercare una soluzione rapida ma solitamente errata, che risolve solo apparentemente il problema.

Secondo atto: l’antitesi

I personaggi ricevono più spazio, e attraversano peripezie fatte di colpi di scena, avventure e battaglie secondarie, che possono tradursi sia in vittorie che in sconfitte. Contiene più punti di svolta, che compaiono con il progredire del racconto. È la sezione dedicata allo svolgersi delle trame avviate durante il primo atto, che qui vengono elaborate e ampliate.

Come spiega lo sceneggiatore Ken Dancyger nel libro Il cinema oltre le regole:

Il secondo atto deve far progredire il personaggio affrontando le conseguenze della falsa soluzione del primo atto. In questo modo si gettano le basi per la risoluzione che avverrà nel terzo atto, attraverso il riconoscimento del proprio errore e l’introspezione.”

La posta in gioco aumenta, le cose peggiorano esponenzialmente. Lo scoglio interiore del personaggio principale deve essere superato. I conflitti narrativi raggiungono un picco di tensione detto midpoint. Questo, di solito, suddivide ulteriormente il secondo atto in due parti, e funge da forte punto di svolta nell’andamento della narrazione, dando nuovo slancio alla seconda metà del racconto. A volte dopo il midpoint c’è un attimo di tranquillità, di riorganizzazione, una scena in cui i personaggi prendono fiato, con lo scopo di smorzare la tensione accumulata.

A questo punto inizia la caduta, la discesa verso il momento peggiore per il protagonista, e quello di maggior pericolo dell’intera storia. Deve affrontare ciò che teme di più al mondo nel tentativo di risolvere il conflitto principale. Il personaggio deve morire, in senso figurato, e deve pensare che tutto è perduto. La discesa è il periodo narrativo in cui il personaggio soffre di più: è infelice, sconfitto, deluso, dolorante. Ciò lo riavvicina pericolosamente alla vita ordinaria dell’inizio.

Il secondo atto si chiude con una situazione critica per il protagonista, momentaneamente sconfitto dagli eventi, così che la sua necessità di riscatto possa spingere la storia verso una risoluzione definitiva.

Terzo atto: la sintesi

Questa è la parte destinata alla risoluzione dei vari conflitti narrativi, sia principali che secondari. È qui che viene raggiunto il climax, ovvero l’apice emotivo della vicenda. La determinazione del personaggio a riconfermare la propria importanza nella storia è l’innesco dell’atto finale, e si appoggia soprattutto su una nuova comprensione che il protagonista ha di sé. La risoluzione interiore del protagonista lo rende in grado di perseguire un obiettivo esterno.

Dopo diverse difficoltà, finalmente, si torna alla normalità. Il protagonista rientra nel mondo ordinario, vittorioso o definitivamente sconfitto, ma con un’accresciuta consapevolezza di sé e del mondo.

Riassumendo

  • La struttura in tre atti è formata da un inizio, uno sviluppo e una fine.
  • La prima parte presenta il contesto, i personaggi e il loro mondo ordinario; un incidente scatenante li catapulta nel conflitto e nel mondo straordinario.
  • Nella seconda parte, attraverso diverse peripezie, i personaggi raggiungono un midpoint, dopo il quale affrontano una terribile caduta. Il rischio è quello di tornare al mondo ordinario, magari sconfitti.
  • Nella terza parte, grazie alla vittoria interiore del protagonista, si affronta una battaglia finale (che può essere, ovviamente, figurata): il conflitto si risolve, che sia in modo positivo o negativo, e i personaggi tornano alla vita ordinaria trasformata, ora, da una nuova consapevolezza.

Le critiche alla struttura in 3 atti

Alcuni scrittori, critici letterari, editori e, in generale, professionisti del mestiere, considerano la suddivisione dell’opera in tre parti troppo rigida e limitante, sostenendo che le sezioni tendano a rimanere troppo separate fra loro, rischiando di apparire come episodi slegati.

Altri, invece, sostengono che la struttura a tre atti si fondi proprio sul legame delle parti, che sia evidente o meno. Gli avvenimenti si susseguono anche a livello inconscio, seguendo sia un processo interiore che la catena di vicende narrate. I tre atti dovrebbero costituire una semplice architettura sulla quale costruire il proprio romanzo, senza percepire la divisione in sezioni come restrittiva, anzi, utilizzando i vari punti come riferimento.

La struttura narrativa in tre atti può apparire meccanica, ma non si tratta di regole vere e proprie. Fornisce delle linee guida su cui costruire la storia. La cosa fondamentale è ricordare che chi scrive detta le regole, e che il mondo che si crea è il suo. È l’autore che deve sfruttare l’elasticità e, allo stesso tempo, la rigidezza di questa struttura, utilizzandola come se fossero delle fondamenta su cui erigere il proprio castello.

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