Ogni storia nasce da un conflitto.
E ogni conflitto nasce dalla contrapposizione di due o più forze, che vogliono prevalere le une sulle altre. In letteratura, come anche in tutti gli altri ambiti della creazione e della finzione, queste forze si chiamano “protagonista” e “antagonista”. Mentre il protagonista è il personaggio attraverso il quale il lettore vive la storia, l’antagonista è quello che gli si contrappone.
Nella narrazione classica, il protagonista rappresenta i valori positivi come la giustizia, la libertà, l’amore, e così via. Di conseguenza, dovendo svolgere una funzione di ostacolo e opposizione, l’antagonista di solito rappresenta i valori diametralmente contrari. È per questo che siamo abituati a parlare di “buoni” e “cattivi”, ma questa visione dualistica a sfondo morale non è l’unica, né la migliore opzione.
Soprattutto nella scrittura contemporanea, queste definizioni infatti non sono delle gabbie, non sono ruoli rigidi da cui non si può uscire. Pensa, ad esempio, a Il trono di spade, di G. R. R. Martin: è un libro corale, in cui ogni capitolo è dedicato al punto di vista di un personaggio diverso. In quest’ottica non esistono buoni o cattivi, in quanto ciascuno di loro è “protagonista” nel momento in cui la vicenda si svolge attraverso i suoi occhi, e chi gli si opporrà sarà un “antagonista” per il quale, magari, ti troverai a tifare nel capitolo seguente.
Chi o cosa è?
L’antagonista non è necessariamente un personaggio: può corrispondere a un’organizzazione, una calamità naturale, un sistema sociale, ma può anche venire direttamente dalla psiche del protagonista. Egli potrebbe essere, ad esempio, il peggior nemico di se stesso, a causa di difetti o convinzioni che lo portano ad auto sabotarsi e che dovrà affrontare nel corso della trama.
Da Wikipedia: “Addirittura, l’antagonista può essere indefinibile; si pensi per esempio a opere di Franz Kafka come Il processo, in cui proprio l’assenza di un antagonista chiaramente delineato contribuisce a creare una sensazione di angoscia e impotenza a cui ci si riferisce con l’aggettivo “kafkiano.”
Un antagonista efficace si pone in diretto contrasto con il protagonista, sfidandone i valori e mettendo in dubbio le sue convinzioni. Riflette quelle che sono sue le paure, facendone dei punti di forza. Ostacolando il protagonista, lo porta ad affrontare prove e sfide che lo trasformano: per il meglio, rendendolo più forte, o per il peggio, portandolo verso un inesorabile declino.
Un personaggio a tutto tondo
È lo scontro tra antagonista e protagonista a generare il conflitto, che è il fulcro di ogni storia. Più il conflitto apparirà rilevante e dall’esito incerto, più la storia sembrerà importante da raccontare. Per rendere l’antagonista il più profondo e sfaccettato possibile, come sostiene l’autore Robert McKee, bisogna allenare “lo sguardo alla complessità e all’assenza di giudizio, cercando di scoprire anche – e forse soprattutto – nei lati negativi le ragioni e le cause che li rendono tali”.
Per questo l’antagonista è uno dei ruoli più complicati da delineare, se non il ruolo. Infatti, è ovviamente bene concentrarsi sul creare un buon protagonista in cui il lettore possa identificarsi, ma senza un buon antagonista anche il personaggio più efficace non avrà nessuno con cui entrare in conflitto. Ergo, non avrà nessuno con cui sviluppare una trama.
È quindi fondamentale far sì che l’antagonista abbia un obbiettivo concreto e reale, con delle motivazioni comprensibili se non addirittura condivisibili. Il “cattivo” che non ha alcuna ragione di essere cattivo se non perché serve un nemico nella storia non potrà mai essere abbastanza… accattivante. Può funzionare in una favola, o al massimo in uno show per bambini. Oggi, tuttavia, si tende ad abbandonare questo stile di antagonista anche nei prodotti di intrattenimento dedicati ai più piccoli, in favore di personaggi più sfaccettati. Il suo scopo, d’altra parte, è quello di far vacillare le certezze del protagonista, e non può farlo se si presenta nella storia come cattivo e basta.
E come tutti i personaggi, deve avere pregi e difetti, dei punti di forza e delle debolezze. Non può esistere un antagonista chiaramente invincibile, ma neanche che dia l’impressione di poter venire sconfitto facilmente, perché verrebbe meno il principio dell’incertezza che caratterizza una buona trama: sarà l’eroe a vincere? O forse il nemico prevarrà su di lui?
Nei panni del “cattivo”
L’antagonista è un personaggio difficile da rendere vero agli occhi del lettore perché impone prima di tutto all’autore di immedesimarsi in scelte che lui stesso, magari, non concepisce. Si tratta di guardare la vicenda da un punto di vista alternativo, da un’altra prospettiva. Con questo non voglio dire che l’antagonista debba essere sempre simpatetico: le sue idee non devono essere per forza condivise e condivisibili, ma devono essere motivate nel contesto.
In effetti, tutto ruota intorno al contesto. Anche alcune azioni del protagonista, o comunque dei cosiddetti “buoni”, se contestualizzate in modo diverso, farebbero pensare di più a un villain che a un eroe. Ed è in questi casi che si parla di antieroe, cioè un personaggio principale che agisce fuori dagli schemi positivi comunemente attribuiti alla figura dell’eroe. La figura dell’antagonista e dell’antieroe non sono da confondere, dunque, in quanto un protagonista può essere un antieroe, ma deve contrapporsi comunque a un antagonista.