È una domanda legittima, perché un libro è spesso parte di una collezione, insieme a decine di altri volumi. Sebbene il costo di un pezzo singolo (solitamente intorno ai 16 euro) possa sembrare irrisorio, moltiplicandolo molte volte si raggiunge in fretta una cifra alta. Per alcune persone il prezzo di copertina non è giustificabile, soprattutto considerando che la maggior parte dei libri viene letta una sola volta.

Il problema è che tutto il lavoro che c’è dietro alla produzione di un libro non è sempre evidente.

Ci sono costi editing, di tipografia, bisogna pagare gli stipendi dei dipendenti, le bollette, le tasse. Fatto sta che il prezzo dei libri è generalmente percepito come troppo alto. Non da editori, scrittori e librai, bensì dai lettori.

Ma cos’è che determina il prezzo di copertina? Il costo dei libri è in aumento? È possibile risparmiare?

Vediamo di trovare le risposte a queste domande!

Una fetta della torta

Il prezzo di copertina va suddiviso in percentuali: ogni protagonista della filiera editoriale, dall’autore al commesso della libreria, ne percepisce una parte.

  • L’editore: si potrebbe pensare che una grande fetta finisca nelle sue tasche, ma non è così. Lui, infatti, è quello che paga tutti gli altri attori prima di vedere un incasso. Gli spettano i costi di produzione e promozione: l’editing, l’impaginazione, la logistica, e così via. I costi sono, quindi, sia redazionali (la revisione e la veste grafica), che aziendali (di amministrazione e di gestione). Come detto, anche la promozione rientra nei doveri dell’editore: la pubblicità su giornali e riviste, in radio, in tv, sul web, così come le presentazioni, i tour, la partecipazione ai premi letterari. Ed è sempre lui a pagare l’autore, i costi di stampa e il distributore. Quindi, a conti fatti, quanti soldi incassa un editore? Di norma, circa il 5% sul prezzo di copertina, che può salire all’8% se il libro vende molto bene.
  • L’autore: a meno che non venda migliaia e migliaia di copie, non rientrerà mai dell’investimento di tempo. Infatti, la percentuale che gli spetta va dal 6% (nel caso di un esordiente) al 15% (nel caso di un autore affermato). Fino a una quindicina di anni fa era normale dare un anticipo all’autore, calcolato sulla base della previsione di vendita e scalato dai diritti fino a quando le copie coperte dall’anticipo non erano vendute tutte. Se l’anticipo superava le vendite effettive, l’autore poteva tenere i soldi ricevuti, e l’editore incassava il brutto colpo. Oggi non è così, sebbene possa succedere in via eccezionale per autori già molto conosciuti o, comunque, il cui numero di libri venduto minimo è garantito.
  • Il tipografo: può sorprendere, ma solo una fetta del 17% circa costituisce i costi di tipografia. Questo perché oggi è più importante distribuire bene un libro, non sprecarne copie, e decidere il prezzo giusto per il tipo di prodotto e per il pubblico a cui si rivolge, piuttosto che stampare una tiratura abbastanza potente da renderlo visibile in libreria. Inoltre oggi, nel caso in cui il libro venda bene, si può ristampare piuttosto in fretta. In passato la carta e la stampa incidevano parecchio, e toccava stampare molte copie per ammortizzare i costi.

Se il libro richiede lavorazioni particolari, tende a essere espulso dal mercato editoriale, non tanto per i costi effettivi, quando per le deviazioni imposte al processo burocratico.

Il mercato dei libri sta cambiando, infatti, da un punto di vista contenutistico, privilegiando lo standard all’originalità, imponendo di replicare copertine e titoli che hanno avuto successo.

  • La distribuzione: a questa voce spetta la fetta più grande, circa il 50% del prezzo di copertina. Per arrivare in libreria, infatti, ci vuole un distributore nazionale. Il costo elevato della distribuzione spiega anche la potenza editoriale crescente di Amazon, cioè di chi guadagna proprio sulla logistica, ottimizzando i costi di movimentazione e magazzino, distribuendo esattamente le copie vendute, senza disperdere risorse e sforzi per raggiungere punti vendita dove la domanda non c’è.
  • Il libraio: la sua una percentuale va dal 30% al 40%. Qui c’è da fare una distinzione tecnica: alcune librerie usano il conto assoluto, cioè acquistano effettivamente i libri, e a fine anno toccherà loro fare i conti di quante copie non sono state vendute; altre usano il conto vendita, che prevede che la proprietà della merce sia sempre dell’editore e che il libraio la esponga e, in caso di vendita, incassi una percentuale, per poi rendere le copie invendute. Inoltre, molto cambia se la libreria è indipendente o se fa parte di una catena. Nel secondo caso, sarà il colosso ad acquistare grandi quantità di titoli distribuendoli nei vari punti vendita, riuscendo così a ottenere sconti maggiori dai distributori.
  • Il magazzino e il macero: un libro fermo occupa spazio, e quindi costa. Una minima percentuale del prezzo di copertina, dunque, è dedicato all’immagazzinamento. Per questo motivo, e siccome annunciare nuove ristampe simula successo, agli editori spesso conviene mandare al macero le copie già stampate e ristamparne di nuove, anziché movimentare quelle esistenti.
  • Le tasse: il 4% consiste nell’IVA.

Il prezzo sta aumentando?

Nel corso degli anni l’inflazione sta salendo, e non ci si può aspettare che i prezzi restino bloccati. A detta di alcuni lettori i libri costano già troppo. La realtà, però, è un’altra: secondo l’Istat e l’Aie, dal 2011 il prezzo di copertina sta continuando a scendere.

La ragione principale del calo del prezzo è la crisi economica (che, ironicamente, è anche il motivo per cui i prezzi sono percepiti come alti), ma anche una incidenza sempre minore dei costi di stampa.

I libri sono tra le merci che offrono i margini di guadagno più bassi. Come abbiamo visto, la media di guadagno per l’editore è intorno al 5%. Le case editrici sono aziende che devono avere dei guadagni. Se una saga è in forte perdita, potrebbe venire interrotta; se un libro in una lingua diversa dall’italiano non guadagna abbastanza, non verrà mai tradotto, e viceversa.

L’unico modo per restare in gioco è stampare sempre più libri, anche andando in perdita, nella speranza di scovare, un giorno, un autore che faccia il botto. Anche per questo vengono continuamente pubblicati libri “commerciali”, scritti da influencer, attori e vip: questi personaggi hanno già un seguito, al di fuori del mondo dell’editoria, e garantiscono un numero sostanzioso di vendite. È un’arma a doppio taglio: questo espediente permette agli editori di “restare a galla”, ma il panorama letterario viene inondato da prodotti di dubbia qualità.

Il prezzo dell’intrattenimento

Riflettendo sul rapporto qualità-prezzo, credo anche che si debba dare un valore al tempo di intrattenimento che un libro offre, e alla qualità di quell’intrattenimento. Anche se leggessi un romanzo tutto d’un fiato, diciamo in un giorno solo, a mio parere ti dovresti chiedere: quante ore ho impegnato? Quali emozioni ho provato? Cosa ricavo da questa lettura? Ci sono poi quei libri che vengono letti e riletti per tutta la vita, così tante volte che il loro prezzo si spalma su decine e decine di ore di puro intrattenimento.

Già nel 1946, lo scrittore George Orwell pubblicava Books v. Cigarettes, un saggio che mette a confronto il costo dei libri con altri mezzi ricreativi, incluse le sigarette.

Orwell parte dalla dichiarazione di alcune persone che sostenevano di non potersi economicamente permettere di leggere. Considerando il costo medio dei libri in suo possesso e di tutti quelli che aveva letto prendendoli in prestito, stimò una spesa annuale per la lettura di 25 sterline, equivalenti a circa 600 euro odierni. Allo stesso modo, calcolò di spendere circa 40 sterline all’anno in birra e sigarette. Stabilì, poi, che il prezzo della lettura all’ora era inferiore a quello di un posto al cinema, rendendolo così uno dei passatempi più economici.

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