Scommetto che, in occasione della diffusione di un nuovo modo di dire, una nuova parola o una nuova regola grammaticale, hai già sentito parlare dell’Accademia della Crusca. Ma di cosa si tratta? E perché sembra avere l’autorità di dettare legge sulla lingua italiana?
Scopriamolo insieme!
Secoli di storia
L’Accademia nasce a Firenze nel 1583 per iniziativa di un gruppo di letterati fiorentini, con lo scopo di codificare la lingua italiana. Non a caso, è proprio il periodo in cui l’italiano si afferma come lingua nobile, parlata da persone erudite, per poi diffondersi in pochi decenni anche tra le persone comuni, a fianco dei dialetti.
L’appellativo “della Crusca” nasce dalle animate discussioni in cui i letterati si scontravano, dette “cruscate”, ma anche in riferimento alla separazione tra crusca e farina, a indicare il lavoro di ripulitura della lingua. Il motto di questo gruppo è, fin dal principio, “Il più bel fior ne coglie”, un verso di Petrarca, e il suo simbolo il frullone.
Una vera e propria associazione culturale, quindi, con cerimonie, banchetti, titoli e simbolismi: venne stabilito, ad esempio, che tutti gli oggetti e i mobili dell’Accademia dovessero avere nomi attinenti al grano, alla farina, al pane.
Il Vocabolario
L’opera principale dell’Accademia è il Vocabolario, pubblicato per la prima volta nel 1612 e revisionato più volte fino al 1923. In quell’anno si decise di interrompere la compilazione e la stampa del vocabolario, ma, nel 1955, venne istituito presso l’Accademia un Centro di studi di filologia italiana con lo scopo di promuovere lo studio critico dei testi antichi e classici. Negli anni ‘70 l’obiettivo del nuovo Vocabolario si spostò verso lo sviluppo della lingua nazionale in tutti i suoi aspetti, applicazioni e livelli, senza limitarsi alle esigenze intellettuali di una cerchia ristretta.
Negli anni subì diverse critiche sia per l’iniziale esaltazione del fiorentino a scapito degli altri dialetti, sia per i limiti che poneva all’uso linguistico, ma dette un contributo decisivo all’identificazione e alla diffusione della lingua italiana. Non solo: divenne un modello adottato dalle altre accademie europee nella redazione dei vocabolari delle rispettive lingue.
L’Accademia oggi
Dichiara la stessa istituzione:
“Oggi l’Accademia della Crusca è il più importante centro di ricerca scientifica dedicato allo studio e alla promozione dell’italiano: si propone in particolare l’obiettivo di fare acquisire e diffondere nella società italiana, specialmente nella scuola, e all’estero, la conoscenza storica della lingua nazionale e la coscienza critica della sua evoluzione attuale nel quadro degli scambi interlinguistici del mondo contemporaneo.”
Il suo impegno attuale persegue tre obiettivi principali:
- sostenere l’attività e la formazione di nuovi ricercatori nel campo della linguistica e della filologia italiana;
- acquisire e diffondere la storia della lingua italiana e la consapevolezza della sua continua evoluzione;
- collaborare con le principali istituzioni affini di altri Paesi per una politica a favore del plurilinguismo del nostro continente.
La Crusca risponde
L’Accademia ha saputo evolvere, proprio come l’oggetto dei suoi studi, andando di pari passo con i cambiamenti del tempo e della società. Oggi è presente online su molte piattaforme, compresi diversi social media: con #ParoleNuove e #LaCruscarisponde va incontro alle esigenze di chiunque voglia una spiegazione o un chiarimento riguardo a un vocabolo. L’approccio è sempre scientifico: vengono citate le fonti e analizzati gli scritti storici, cercando di dare una risposta oggettiva.
Attraverso il sito dell’Accademia, ad esempio, esiste un modo per segnalare i neologismi che vengono ritenuti degni di essere incorporati ufficialmente nel linguaggio italiano: è il servizio Parole Nuove, attraverso il quale chiunque può indicare un neologismo spiegandone il significato. La Crusca raccoglie e cataloga queste “parole potenziali” in attesa che si diffondano nella lingua per un periodo di tempo significativo. Solo allora potranno essere aggiunte ai dizionari.
L’istituzione si esprime, inoltre, su quelle questioni di attualità che fanno emergere delle problematiche legate alla lingua italiana. Uno degli argomenti più discussi al momento, ad esempio, è quello della declinazione al femminile di alcuni vocaboli. A orecchie non allenate potrebbero suonare cacofonici ma, spiega l’Accademia della Crusca in un recente articolo:
“[…] quando nella seconda metà dell’Ottocento le donne ottengono finalmente il diritto all’istruzione e si impadroniscono della lingua, […] si assiste al tentativo di negare la partecipazione delle donne alla vita sociale e politica anche attraverso il rifiuto dei termini per definirle: le parole per descrivere la loro emancipazione e il loro nuovo status vengono dapprima ridicolizzate, poi ignorate. I termini che indicano ruoli di prestigio rimangono a lungo al maschile. Così le donne non si nominano e quindi non esistono.”
Cosa ne pensi dell’evoluzione della lingua italiana? Ci sono dei neologismi che vorresti segnalare? Oppure parole che proprio non riesci a digerire? Scrivilo nei commenti!
Buongiorno
È in uso un termine, probabilmente utilizzato inizialmente in ambiti tecnici ristretti, che trovo davvero indigesto: “attenzionare”
Concordo in pieno con Antonella, ma ce ne sono molti altri, tipici di chi non ha la più pallida idea di che cosa sia l’etimologia della parola, vedi scansione e l’ignobile scansionare; purtroppo non mi posso dilungare per impegni vari, ma tornerei sull’argomento.
Ci sono termini, che al femminile sono, non soltanto cacofonici, ma anche offensivi nei riguardi delle persone a cui vengono attribuiti, e mi riferisco, per es., ad assessora e ad ingegnera. Non capisco perché non si possa usare l’articolo al femminile, lasciando invariato il termine, come avviene per i tantissimi nomi maschili con desinenza – a, quali pediatra, pilota, analista etc., che vengono preceduti dall’articolo maschile o femminile a seconda dei casi.
Ciao Caterina!
Non è affatto semplice darti una risposta, perché non sono un’esperta né una storica della grammatica italiana, ma ci provo comunque: le parole che hai indicato nel primo esempio nella forma maschile finiscono con -e, che nella la forma femminile diventa -a o -ice (priore/priora, cacciatore/cacciatrice). Il fatto che “ingegnera” suoni male è legato al fatto che, storicamente, è un ruolo precluso alle donne (l’università, in Italia, apre a tutte le donne solo nel 1875, ed esiste dal 1150 circa), mentre “infermiera” è un termine di uso comune. Invece le parole del secondo esempio finiscono con -a, e secondo le regole della grammatica italiana il loro genere cambia in base all’articolo, non alla desinenza.
Quello che è certo è che la lingua evolve insieme alla società, e che siamo nel pieno del dibattito. Anche il termine “dottoressa” (nato come dispregiativo, la forma grammaticalmente corretta sarebbe “dottrice”) ha lottato tanto per affermarsi, nella seconda metà dell’800.
Sarà il tempo a darci il responso!